Carrà Gaini

Sicurezza sul lavoro e infortuni: il ruolo centrale del Modello 231

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Il tema sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro assume un ruolo essenziale per ogni azienda, il cui obiettivo primario deve essere tutelare i propri lavoratori, durante l’esercizio dell’attività lavorativa, da possibili infortuni, incidenti, malattie professionali e quindi da rischi sulla loro salute.

Vediamo insieme come il Modello Organizzativo 231 può agevolare questo percorso.

L’essenzialità della sicurezza sul lavoro: adozione del Modello 231

Il “mantra” del buon imprenditore deve includere:

  • la corretta applicazione delle norme sul presupposto della loro conoscenza per una gestione informata della società (come da nostro contributo);
  • l’adozione di misure sia di prevenzione che di protezione, come ad esempio l’utilizzo di dispositivi antinfortunistica, la garanzia di una formazione e aggiornamento costante su tutte le procedure di sicurezza.

E con particolar riferimento al focus di oggi.

  • una valutazione dei rischi e una politica di investimenti sulla sicurezza sul lavoro, al fine di ridurre gli infortuni e garantire il benessere dei dipendenti sul posto di lavoro.

Un efficace connubio di questi elementi, unito:

  • alla conseguente riduzione dei costi;
  • all’aumento della produttività;
  • a una migliore definizione della reputazione aziendale;

contribuisce a mantenere l’impresa sul mercato in prospettiva di lungo periodo.

Un’efficace gestione della tutela della salute e sicurezza sul lavoro ha un significativo impatto sulla compliance aziendale.

In questo contesto è di confortante utilità e opportunità la scelta di adottare il Modello organizzativo 231, attraverso il quale ricavare un assetto organizzativo e lavorativo ad hoc in cui:

  • garantire il rispetto delle regole cautelari disciplinate nel D. Lgs. 81/2008 (Testo Unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro);
  • individuare i criteri di imputazione oggettiva e soggettiva delle responsabilità e identificazione della fattispecie di reato, previste nel D. Lgs. n.231/2001.

Criteri d’imputazione in violazione della sicurezza sul lavoro

Ai fini della determinazione delle effettive responsabilità dell’impresa in caso di infortunio o morte del lavoratore – nello specifico caso di natura colposa che andremo di seguito ad analizzare –   i due criteri d’imputazione del reato – interesse o vantaggio – sono da considerarsi alternativi:

  • l’interesse annovera il fine di una condotta, da valutarsi anteriormente alla commissione del reato;
  • il vantaggio considera l’esito ottenuto dalla condotta, da valutarsi in seguito alla commissione del fatto.

Considerando che in caso di reati di natura colposa – così come introdotto dal Legislatore nell’art.25-septies del D.Lgs. n.231/2001 – in cui si richiama la responsabilità dell’ente in caso di

«omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro», –

per cui la valutazione verte sulla condotta piuttosto che sull’esito della stessa, occorre capire se i suddetti criteri, con conseguente individuazione di reato, siano applicabili.

Per una migliore chiarezza e operatività di quanto presupposto sinora, analizziamo un caso concreto, sfociato in un procedimento penale.

Un fatto accaduto: infortunio sul lavoro e morte del dipendente

La vicenda, il cui esito purtroppo nefasto è stata la morte del lavoratore (di seguito “vittima”), ha inizio quando un operaio (con qualifica di carrozziere), nell’esercizio della propria attività lavorativa, ha perso la vita per l’improvviso abbassamento della motrice di un camion in fase di «sostituzione dei soffietti di sospensione del mezzo».

Dalle risultanze processuali, l’operaio, per eseguire la sostituzione, non avrebbe rispettato la procedura prevista, in quanto non ha atteso che fossero inseriti i necessari cavalletti a tutela della sua incolumità.

Infatti, le sospensioni del veicolo perdevano pressione e provocavano il cedimento del telaio, determinando di conseguenza gravi lesioni all’operaio, a cui ne seguiva la morte.

Dalla ricostruzione  degli eventi, risulta che, la vittima avesse deciso di eseguire la sostituzione del soffietto danneggiato senza l’utilizzo dei cavalletti di sicurezza (che il caporeparto nel mentre stava per allestire).

Secondo il Tribunale, con le modalità rilevate in concreto, era chiaro che la vittima non avesse agito in conformità alla procedura standard che conosceva perfettamente, dato che si trattava di un lavoro che veniva eseguito anche più volte al giorno.

Oltre al fatto che il caporeparto, sin dall’inizio del rapporto di lavoro, si era adoperato personalmente per fornirgli un’adeguata formazione e affiancamento durante lo svolgimento dell’attività lavorativa.

Dall’altra parte però il caporeparto sosteneva che l’azienda di fatto non aveva mai fornito una procedura scritta su come eseguire tale attività, seppur fosse presente in officina una (sola) postazione in cui si potevano consultare le procedure della casa madre.

Le imputazioni penali, il ruolo della 231 e i presupposti

Dalle indagini si evidenziava che la vittima non aveva frequentato alcun corso di formazione sulla sicurezza sul lavoro, con cui avrebbe potuto conoscere le misure di prevenzione dei rischi in fase di manutenzione dei mezzi.

Nemmeno la vittima aveva consultato le procedure fornite dalla casa madre.

Il Tribunale considerava però che, pur essendo stata la condotta della vittima «sprovveduta, è stata tuttavia priva delle caratteristiche di eccezionalità e abnormità idonee ad escludere la responsabilità penale dei soggetti tenuti all’adozione e rispetto delle norme antinfortunistiche».

Le imputazioni penali

Da questi presupposti, venivano mosse imputazioni nei confronti della Società datrice di lavoro, del caporeparto e del responsabile tecnico, la cui colpa era assimilabile a «negligenza, imprudenza e imperizia» (art.43 c.p.), propri della natura di fatto colposa del reato (che esula dal carattere dell’intenzionalità) del caso di specie.

In particolare, alla Società datrice di lavoro si attribuiva la colpa di non aver:

  • soppesato con attenzione e correttamente gli effettivi rischi che potevano derivare dall’operazione di sostituzione dei soffietti che era stata commissionata alla vittima;
  • incluso nel Documento di Valutazione Rischi dell’azienda, a tutela della sicurezza del lavoratore, anche la tipologia di rischio che poteva verificarsi in caso di manutenzione di mezzi, come il pericolo di schiacciamento;
  • provveduto a formare e informare la vittima dei rischi connessi all’attività lavorativa e delle eventuali misure di prevenzione e protezione, utili ad evitare o ridurre i suddetti rischi.

Mentre al caporeparto e al responsabile tecnico si attribuiva la colpa di non:

  • aver vigilato correttamente e con attenzione affinché la vittima agisse in conformità alle disposizioni aziendali in materia di sicurezza sul lavoro;
  • essersi accertati che l’operaio procedesse a sostituire i soffietti solo in seguito all’inserimento dei cavalletti di sicurezza.

Il ruolo del Modello 231 a tutela della sicurezza sul lavoro

Alla Società datrice veniva contestata l’imputazione di reato di illecito amministrativo (come previsto dall’art.5 e art.25 del D. Lgs. n.231/2001), in quanto non aveva provveduto, sino al fatto colposo accaduto, a adottare un Modello organizzativo 231.

Si richiama quindi la responsabilità in termini di «colpa dell’organizzazione» che ha agito in inosservanza degli obblighi di direzione e vigilanza e ha fatto sì che, in mancanza di un’efficiente organizzazione interna, ha di fatto “permesso” che si verificasse il reato.

Pertanto, è responsabilità e onere dell’impresa dotarsi di un Modello organizzativo (in breve MOGC) con cui garantire e mettere in atto tutte le misure necessarie in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

Un Modello che di fatto rappresenta l’unico strumento con cui dimostrare in giudizio che l’azienda ha fatto tutto ciò che poteva per evitare che si verificasse il reato.

L’imputazione di reato, quindi, nel caso di specie attiene alla condotta tenuta dall’impresa in ambito di sicurezza (come la mancata adozione delle regole di cautela antinfortunistica) quale presupposto poi dell’effettivo accadimento dell’evento lesivo.

Date queste premesse e avvenimenti che tipo di strategia difensiva è stata adottata a favore dell’azienda?

Il processo e la strategia difensionale per l’azienda

L’impresa datrice è stata difesa dall’Avv. Fabrizio Sardella, penalista d’impresa, esperto in materia 231, e partner del nostro Studio, a cui lasciamo direttamente spiegare i dettagli della difesa assunta:

«In ragione dell’imputazione ex D.Lgs 231, mancando nell’azienda imputata un MOGC, il primo suggerimento è stato di predisporre e attuare il Modello nel corso del procedimento penale, al fine di ottenere l’attenuante prevista ex art. 12, c.1, D. Lgs.231/2001.

Applicazione ottenuta per il realizzarsi delle seguenti condizioni:

  • risarcimento del danno derivante da reato ad opera dell’impresa;
  • implementazione Modello organizzativo (elaborato subito dopo il verificarsi dell’infortunio), atto a prevenire i reati come quello del caso di specie».

«Quanto al merito delle accuse, ho contestato la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della 231, in quanto non vi era dimostrazione che il reato fosse stato commesso nell’interesse o nel vantaggio dell’impresa imputata.

Infatti, nessun vantaggio economico per l’impresa, in termini di risparmio di spesa o di tempo, era ravvisabile nella condotta incauta posta in essere dal lavoratore.

Altrettanto non era possibile identificare una “massimizzazione del profitto” in capo all’impresa, pari all’asserita maggior rapidità nell’esecuzione delle attività di officina, mancando idonea argomentazione dimostrazione in merito».

«Nemmeno è stato dimostrato che quella modalità di esecuzione fosse stata effettuata altre volte, tanto da fare risultare il comportamento del lavoratore abnorme ed eccezionale».

«In sostanza, mancava la prova circa il l’esistenza di una colpa di organizzazione in capo all’ente e dunque dell’applicabilità della 231».

La sentenza

Nonostante le puntuali difese svolte, la sentenza ha dichiarato la responsabilità dell’impresa condannandola alla sanzione pecuniaria di circa 100.000 €.

Questo importo è stato ridotto a metà, come menzionato, in applicazione dell’attenuante ex art. 12, co. 2, D.Lgs 231/01, per aver approntato in corsa il modello 231 (oltre ulteriore riduzione per il rito).

Si noti che la sentenza non disponeva sanzioni interdittive o la confisca, in difetto dei presupposti (ex art. 13, D.Lgs 231/01), mancando dimostrazione del conseguimento di un profitto di rilevante entità in favore dell’impresa.

Sulla base di tali ultime evidenze e dei motivi difensionali sopra richiamati, l’impresa ha proposto appello alla sentenza con il collega Sardella, al fine di ottenere la piena assoluzione.

Perché adottare la 231 in azienda?

In conclusione, è evidente l’importanza e necessità di dotarsi di un sistema 231 che può fornire un sistema di prevenzione e, non di meno, di protezione in caso di evento dannoso, interrompendo il nesso tra la commissione del reato (presupposto) e la responsabilità dell’Ente.

Con l’adozione del Modello 231 si intende tutelare la reputazione e l’immagine dell’azienda dai rischi di illeciti di natura societaria, penale, tributaria, ambientale, che possano danneggiarla, allo scopo invece di acquisire vantaggi non solo economici ma anche strategici.

Se vuoi una consulenza per adottare un Modello 231 a tutela della tua azienda e un supporto legale per gestire i rischi aziendali, non esitare, contatta il nostro Studio.

 

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