Carrà Gaini

Inadempimento e risoluzione del contratto di locazione

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Nel precedente contributo abbiamo introdotto il contratto di locazione, dando spazio alla sua forma contrattuale, e alle sue tipologie (ad uso abitativo e ad uso commerciale).

Proseguiamo il nostro approfondimento del contratto di locazione, soffermandoci ora sul tema dell’inadempimento e della conseguente risoluzione del contratto.

Rischio di inadempimento del contratto di locazione

L’esperienza ci insegna che, nei rapporti di locazione, è la parte locatrice quella maggiormente esposta al rischio di inadempimento del conduttore.

Questo perché di fatto l’onere del locatore si esaurisce (o perfeziona) con la messa a disposizione in via continuativa della cosa locata, nel rispetto dell’uso pattuito in contratto.

Invece il conduttore ha in particolare l’obbligo di adempiere al pagamento periodico del canone, oltre che di mantenere in buono stato l’immobile (o la cosa locata), e così per tutta la durata del contratto.

Tra le principali cause di risoluzione per inadempimento dei contratti di locazione, pertanto, troviamo la morosità del conduttore circa il pagamento del canone.

In tal caso esiste un rimedio giudiziale specifico, l’intimazione di sfratto per morosità (art. 658 c.p.c. e ss.), finalizzato alla risoluzione del contratto ed alla restituzione dell’immobile locato, a cui dedicheremo il prossimo intervento.

Cosa si intende per inadempimento di un contratto

In linea generale, l’inadempimento consiste nel mancato assolvimento, o comunque pieno rispetto, da parte di un contraente di un’obbligazione contrattuale.

Il soggetto che ha subito l’inadempimento, per tutelarsi, può ricorrere a tre specifici rimedi, a seconda dei casi (art.1453 c.c.):

  • chiedere l’adempimento, anche se tardivo;
  • risolvere il contratto, qualora non abbia più interesse all’adempimento;
  • chiedere – in ambo i casi – il risarcimento del danno.

Adempimento o risoluzione?

La decisione della parte adempiente (quella che subisce l’inadempimento) di applicare l’uno o l’altro istituto dipende:

  • dalla volontà e interesse di mantenere in essere il contratto e quindi insistere per l’adempimento delle obbligazioni contrattuali pattuite;
  • dal venir meno dell’interesse all’esecuzione dell’accordo, in ragione anche della gravità dell’inadempimento, per cui propende per la risoluzione, con conseguente cessazione del contratto.

Il contraente-creditore, che ha interesse all’adempimento dell’altro e vuole salvare il contratto, può mettere in mora l’altra parte, fissando un congruo termine entro cui questa deve adempiere alla propria obbligazione.

Spirato infruttuosamente il termine, la parte adempiente può risolvere il contratto, ricorrendone i presupposti, e in particolare qualora l’inadempimento sia grave.

È dunque centrale la valutazione della gravità dell’inadempimento ai fini dell’adozione del rimedio contrattuale a cui la parte adempiente può fare ricorso.

In sostanza, non è sempre possibile per la parte adempiente operare una scelta, in quanto non è sempre possibile optare per la risoluzione del contratto, anziché per la richiesta di adempimento.

La gravità dell’inadempimento

Salvo diverse disposizioni contrattuali (di cui ne parleremo nel seguito), occorre verificare la gravità dell’inadempimento in contestazione.

Il livello di gravità dell’inadempimento deve essere valutato tenendo conto:

  • dell’interesse delle parti (criterio soggettivo);
  • dell’importanza dell’obbligazione non adempiuta, rispetto all’economia complessiva derivante dal rapporto contrattuale (criterio oggettivo).

L’articolo 1455 c.c. afferma che «il contratto non si può risolvere se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra», per cui l’interesse da valutare è da attribuirsi alle reciproche obbligazioni delle parti contrattuali.

La risoluzione, infatti, è un rimedio estremo, in quanto “distrugge” il contratto e di conseguenza, per arrivare a tanto, occorre una concreta gravità dell’inadempimento contestato, da valutarsi caso per caso.

Ad esempio, il mancato o tardivo pagamento di un solo canone di locazione non è sempre causa di risoluzione del contratto.

In caso di inosservanza delle obbligazioni contrattuali occorre dunque individuare quale sia la causa dell’inadempimento e verificarne l’imputabilità effettiva in capo al debitore (= nesso causale).

Tale accertamento spetta di prassi al giudice a cui è rivolta la domanda di risoluzione per inadempimento, salvo i contraenti abbiano stabilito in contratto che, al verificarsi di uno specifico comportamento o omissione di una parte, il contratto possa essere risolto, su semplice comunicazione dell’altra, di diritto.

Inadempimento e clausola risolutiva espressa

La risoluzione del contratto per inadempimento può avvenire con diverse modalità:

  • giudizialmente – quando la risoluzione è disposta dal giudice, su domanda di parte (con accertamento sulla gravità dell’inadempimento);
  • di diritto o per negozio – quando i contraenti hanno stabilito che la violazione di una specifica obbligazione comporta la risoluzione automatica del contratto, mediante la pattuizione di una specifica clausola in contratto, la c.d. clausola risolutiva espressa.

In presenza di una clausola risolutiva espressa le parti intendono sottrarre al giudice la valutazione sulla gravità dell’inadempimento e la risoluzione avviene di diritto, per espressa pattuizione delle parti.

Questa clausola deve individuare con precisione le obbligazioni che, ove non adempiute perfettamente, possono portare alla risoluzione di diritto del contratto.

In tal caso, ove previsto dalla clausola risolutiva, anche il solo mancato o tardivo pagamento di un unico rateo di canone di locazione può essere causa di risoluzione del contratto.

Ciò non toglie che l’inadempimento debba essere imputabile al debitore e non ad eventi posti al di fuori della disponibilità delle parti (come ad esempio la forza maggiore, tra cui le casistiche legate all’ancora attuale emergenza sanitaria).

In presenza di inadempimento di un’obbligazione prevista dalla clausola risolutiva espressa, sarà comunque la parte adempiente a decidere se avvalersi o meno della risoluzione di diritto (ai sensi dell’art. 1456 c.c).

Va detto che la clausola risolutiva espressa è una clausola c.d. vessatoria, che come tale, ai fini della sua validità, deve essere approvata dalle parti in contratto in maniera separata, espressa, inequivoca e specifica, con doppia sottoscrizione.

Se una parte dichiara di avvalersi della clausola risolutiva espressa il contratto è risolto di diritto.

La cessazione prematura del contratto, per l’intervenuta risoluzione giudiziale o di diritto, può portare a conseguenze per la parte inadempiente, passibili di risarcimento danni.

Clausola penale e risarcimento del danno

Ai fini di tutelare la parte adempiente, anche nel contratto di locazione vi è la possibilità di prevedere un rimedio pattizio, finalizzato a predeterminare l’ammontare del risarcimento dei danni derivanti da ritardo, inadempimento e/o risoluzione.

La clausola penale, dunque, evita alle parti di dover chiedere l’accertamento dei danni risarcibili e di dimostrane l’entità in giudizio, consentendo così alla parte che ha subito l’inadempimento o la risoluzione del contratto, di attivarsi per il risarcimento dei danni in maniera più agile.

Le altre conseguenze della risoluzione del contratto di locazione

Risolto il contratto di locazione, il conduttore deve provvedere alla pronta restituzione dell’immobile al locatore, nello stesso stato in cui gli era stato consegnato all’inizio del rapporto locativo.

Ad esempio, qualora siano state apportate modifiche all’immobile, salvo diversi accordi formali tra le parti, il conduttore deve riportarlo nelle condizioni originarie.

Allo stesso modo, il conduttore dovrà risarcire al locatore eventuali danni che possa aver causato all’immobile.

Spesso, a tal fine, nei contratti di locazione è previsto un deposito cauzionale a copertura di eventuali danni all’immobile.

Tuttavia, per trattenere il deposito cauzionale a titolo di risarcimento danni, il locatore deve proporre una apposita domanda giudiziale, salvo formalizzare un accordo con il conduttore, di prassi previo sopralluogo in contraddittorio al momento della effettiva restituzione.

Diversamente, così come in assenza di danni accertati, il conduttore ha il diritto di esigere la restituzione del deposito.

Lo Studio è a vostra disposizione per offrirvi il dovuto supporto legale per negoziare e redigere tutte le più idonee clausole del contratto di locazione, ovvero per gestire contestazioni di inadempimento e le vicende afferenti alla risoluzione del contratto.

 

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