Carrà Gaini

Liceità dell’imitazione servile tra estetica e funzionalità

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L’imitazione servile rappresenta una delle manifestazioni più ricorrenti e dibattute della concorrenza sleale.

L’imitazione servile trova le sue origini negli anni Sessanta con il caso Motta vs Alemagna (Corte di Cassazione, sent. n.752/1962) che segnò la prima elaborazione giurisprudenziale dell’allora nascente “concorrenza parassitaria”.

In quella occasione, per la prima volta, la giurisprudenza riconosce come illecito il comportamento dell’imprenditore che adotta:

  • una sistematica e continuativa condotta lesiva verso un’azienda concorrente,
  • imitando ogni sua iniziativa imprenditoriale, dai modelli, marchi, brevetti e tipi di prodotti sino a riprodurre la strategia pubblicitaria e di vendita.

La concorrenza parassitaria si può realizzare in modo diacronico o sincronico.

Concorrenza parassitaria diacronica

Dalla sentenza del 1962 si riconosce che l’imitazione servile può attuarsi non  solo riguardo ad un singolo atto, ma può manifestarsi anche tramite un’eterogeneità di attività imitate, che se prese singolarmente sono lecite e corrette, eppure considerate nel loro complesso dimostrano un disegno concorrenziale.

Di conseguenza, la condotta imitativa è riconosciuta come «un cammino continuo e sistematico sulle orme altrui», configurando, quindi, un atto illecito non occasionale, ma compiuto con sistematicità e continuità temporale.

L’imitatore ottiene un significativo vantaggio competitivo sia a livello economico che reputazionale  perché, non dovendo sostenere i costi di ideazione, ricerca e sviluppo della strategia di comunicazione e di marketing originale, può permettersi di praticare una politica commerciale con prezzi inferiori a parità di prodotto.

Tutto questo comporta un conseguente danneggiamento economico e reputazionale a carico dell’azienda che è stata imitata.

Sulla base dei suddetti presupposti, l’orientamento giurisprudenziale consolida l’ipotesi di concorrenza parassitaria di tipo “diacronico”,  in cui la condotta imitativa si svolge mediante una  pluralità di atti eterogenei che si susseguono nel tempo.

Concorrenza parassitaria “sincronica”

Successivamente con la sentenza di Cassazione n.5852/1984  viene riconosciuta una concorrenza parassitaria “sincronica”, che si caratterizza quando la sistematica imitazione di una pluralità di atti avviene simultaneamente e si concentra in un unico momento.

Che cos’è l’imitazione servile oggi?

L’imitazione servile è la riproduzione pedissequa e confusoria degli elementi individualizzanti di  un prodotto concorrente e viene disciplinata dall’art.2598, n.1, del codice civile.

Ad oggi il principio di fondo è rimasto invariato: non è l’imitazione in sé che viene vietata in assoluto, ma il divieto è applicato solo se essa crea confusione nella percezione del pubblico.

Questo accade perchè chi compie un atto di imitazione lo fa con l’intento di sfruttare la reputazione di un concorrente o di adottare un comportamento di aggancio sistematico e parassitario sulla sua scia.

Un quadro aggiornato e chiaro su come oggi debba essere interpretata e accertata la fattispecie dell’imitazione servile, dove estetica e funzionalità si intrecciano, è riportato nell’ordinanza n.3392 del 10 febbraio 2025 della Cassazione.

La pronuncia analizza una controversia tra due società Alfa (ricorrente) e Beta (convenuta) produttrici del medesimo tipo di prodotto, richiamando la caratteristica individualizzante cromatica del marchio della ricorrente, con funzione tecnica delle forme piuttosto che estetica.

Alfa propone ricorso in Cassazione, chiamando in giudizio Beta, adducendo che quest’ultima abbia compiuto atti di concorrenza sleale per:

  • imitazione servile confusoria,
  • appropriazione di pregi e agganciamento,
  • condotta parassitaria,
  • denigrazione,

oltre ad aver contraffatto alcuni marchi e modelli di titolarità della ricorrente.

Quest’ultima pertanto chiedeva alla Corte di inibire la convenuta nel proseguire le attività illecite, ordinando il ritiro dal commercio dei prodotti imitati  e del relativo materiale pubblicitario e promozionale.

L’imitazione servile e i criteri di confondibilità

Secondo la Corte di Cassazione, quando l’imitazione riguarda il «complesso degli elementi individualizzanti di un prodotto», l’inserimento di segni distintivi che ne determinano la provenienza, non basta ad escludere il rischio di confondibilità da parte del consumatore medio.

Il secondo aspetto riguarda la funzionalità delle forme e le differenze cromatiche, per cui, nel caso di specie, la Corte ha confermato che l’alternanza dei colori nel modello della ricorrente avesse rilevanza funzionale.

Proprio per questo motivo, le differenze cromatiche riscontrate tra i prodotti in confronto sono state considerate idonee a escludere la confondibilità.

Riproduzione funzionale e imitazione servile

Qui si deduce un principio cardine, per cui ciò che è funzionale non può essere monopolizzato e la sua riproduzione non è qualificabile come imitazione servile.

In definitiva, discernere tra una lecita riproduzione funzionale e un’imitazione servile implica verificare non solo l’eventuale copiatura di elementi formali non funzionali (come ad esempio: forma ed elementi cromatici del prodotto), ma anche l’intento dell’impresa imitatrice.

In particolare, l’operazione stessa se mira a:

  • generare confusione nel pubblico,
  • appropriarsi indebitamente della reputazione e della visibilità dell’azienda concorrente,
  • ottenere un vantaggio competitivo ingiusto tramite appunto una condotta ingannevole,

viola i principi di correttezza professionale e indebolisce la fisiologica dinamica concorrenziale.

Come chiarito dalla Corte, la concorrenza parassitaria è quindi un comportamento che si può realizzare in una pluralità di atti, che presi singolarmente sono da considerarsi come leciti, ma se visti nel loro complesso possono costituire un illecito.

Questo perchè nel loro insieme «rappresentano la continua e ripetuta imitazione delle iniziative del concorrente» e dello sfruttamento, sempre continuativo, della sua creatività e del suo investimento.

In questa prospettiva, la Corte ha chiarito che l’imitazione servile assume rilievo parassitario, e quindi illecito, solo quando interviene a «breve distanza di tempo da ogni singola iniziativa del concorrente» (“concorrenza parassitaria diacronica”), o rispetto «all’ultima o più significativa di esse» (“concorrenza parassitaria sincronica”).

Il concetto di “brevità” temporale indica il lasso di tempo durante il quale l’ideatore dell’iniziativa può ragionevolmente attendersi dal lancio della novità imprenditoriale un ritorno in termini di vendita, pubblicità o efficace avviamento dell’azienda.

Nello specifico, fino al momento in cui il mercato, e quindi il pubblico, percepisce quella specifica novità come tale e la riconosce come elemento distintivo nella scelta del prodotto.

L’imitazione come concorrenza sleale

A conclusione, si osserva che la linea di confine tra lecito e illecito richiede un accertamento rigoroso fondato su un’analisi complessiva del comportamento dell’impresa imitatrice, per determinare se l’imitazione rientri nella concorrenza sleale o meno.

Soltanto quando l’imitazione servile si traduce in una sistematica appropriazione del valore creativo, reputazionale e competitivo dell’azienda concorrente imitata, si configura un atto di concorrenza sleale.

Questa fattispecie  si integra sia come imitazione servile sia nella più gravosa forma della concorrenza parassitaria, specialmente laddove l’appropriazione è realizzata in tempi tali da sottrarre il beneficio economico spettante per diritto all’azienda imitata.

 

 

 

 

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