Carrà Gaini

Tutele crescenti e licenziamento, dietrofront sul calcolo indennità

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La tanto attesa sentenza della Corte Costituzionale che ridiscute il tema delle indennità al lavoratore ingiustamente licenziato è ora ufficializzata.

La Corte dichiara che il testo del decreto sulle Tutele crescenti (art.3, comma 1, del D.Lgs 23/2015), di recente modificato dal cosiddetto Decreto Dignità, nella parte in cui dispone un rigido criterio di determinazione delle indennità dovute in caso di licenziamento per giustificato motivo, oggettivo o soggettivo, non è più legittimo.

Ecco il link ove è visionabile la sentenza nella sua interezza: http://bit.ly/2K2X56x

Tutele crescenti: Il testo rimosso dalla Corte

Per una più immediata lettura e comprensione, riportiamo il testo della norma in questione, con evidenziata la parte rimossa dalla Corte Costituzionale:

“Salvo quanto disposto dal comma 2, nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro [che ora diventano sei] e non superiore a ventiquattro [ora trentasei] mensilità.”

La Corte Costituzionale, dunque, dichiara illegittimo il sistema di calcolo proporzionale dell’indennità risarcitoria in rapporto all’anzianità di servizio, ritenendolo contrario (in parziale accoglimento ai motivi di ricorso) a norme costituzionali, perché:

rigido e automatico, basato sull’anzianità di servizio, tale da precludere qualsiasi discrezionalità valutativa del giudice in violazione dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza, in quanto in contrasto con l’esigenza di assicurare un adeguato risarcimento del concreto pregiudizio subito dal lavoratore, nonché un adeguato effetto dissuasivo per il datore di lavoro dal licenziare ingiustamente.

E ciò in quanto: la tutela risarcitoria non può essere ancorata all’unico parametro dell’anzianità di servizio, in quanto l’indennizzo, pur se non debba essere riparatorio dell’intero pregiudizio, deve essere necessariamente adeguato ed equilibrato, fondato su più criteri da offrire alla prudente discrezionalità del giudice chiamato a dirimere la controversia, in risposta alle esigenze di personalizzazione del danno subito dal lavoratore.

In pratica, non è corretto che situazioni diverse debbano essere omologate con una misura risarcitoria uniforme.

Non è quindi in contrasto – secondo la Corte – il limite di 24 (ora 36) mensilità, fissato dal legislatore quale soglia massima, ma l’irragionevole criterio di fissazione del meccanismo di quantificazione dell’aumento dell’indennità risarcitoria, incompatibile con l’art. 4, primo comma, e l’art. 35 della Costituzione (per come già interpretati dalla stessa Corte) che attribuiscono al lavoro un valore particolare per la realizzazione del pieno sviluppo della persona umana.

Ne consegue la non idoneità del criterio di indennizzo progressivo in esame a costituire adeguata riparazione del pregiudizio concreto subito dal lavoratore licenziato illegittimamente, nonché a valere quale seria dissuasione del datore dal licenziare illegittimamente.

Il danno maggiore a carico dei lavoratori con anzianità ridotta

Il vulnus (ovvero la violazione del diritto, ndr)emerge soprattutto rispetto ai casi di licenziamento di lavoratori con ridotta anzianità.

Il criterio risarcitorio introdotto dal legislatore è pertanto eccessivamente rigido, essendo basato sulla sola anzianità di servizio, e non mantiene il dovuto equilibrio “degli interessi in gioco”: la libertà di organizzazione dell’impresa da un lato e la tutela del lavoratore ingiustamente licenziato dall’altro.

E non solo.

La norma contrasta anche con gli artt. 76 e 117, primo comma della Costituzione (norme che, in sostanza, vincolano il Governo al rispetto delle fonti comunitarie nell’esercizio della sua funzione legislativa), in relazione all’art. 24 della Carta sociale europea (fonte ritenuta di rango comunitario), che impone agli stati membri contraenti di riconoscere “il diritto ai lavoratori licenziati senza un valido motivo ad un congruo risarcimento o altra adeguata riparazione”.

Indennità di licenziamento, quando diventa adeguata?

indennità di licenziamento, come deve essere calcolata

Sul punto, il Comitato europeo dei diritti sociali – le cui decisioni, ancorché non vincolanti per i giudici nazionali, sono ritenute autorevoli dalla CorteCostituzionale – ha chiarito che un indennizzo è congruo qualora:

  • sia tale da assicurare un ristoro adeguato al concreto pregiudizio subito dal lavoratore licenziato ingiustamente;
  • e sia tale da dissuadere il datore dal licenziare senza un valido motivo.

Orai giudici, nel liquidare l’indennità risarcitoria in caso di licenziamento illegittimo per i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015, dovranno quindi tener conto di vari criteri quali:

  • il numero dei dipendenti occupati
  • le dimensioni dell’attività economica
  • il comportamento, le condizioni delle parti

Senza dimenticare, in primis, l’anzianità di servizio del lavoratore licenziato.

Regolamenti aziendali e contratti di lavoro

Cosa cambia

Rimangono fermi i limiti minimi e massimi di 6 e 36 mensilità (ovvero da 3 a 6 mensilità per le imprese con non più di 15 dipendenti), per come modificato in aumento dal c.d. Decreto Dignità.

Precisa inoltre la Corte, che le “mensilità” a cui fare riferimento per commisurare il risarcimento sono quelle relative all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR.

I giudici, dunque, a fronte di questi cambiamenti, dovranno discrezionalmente valutare, caso per caso, in quali termini possa considerarsi adeguato il risarcimento liquidabile a ristoro del danno da licenziamento illegittimo, considerando nella decisione tutti i criteri di cui sopra, ma comunque rimanendo tenuti al rispetto dei limiti minimi e massimi già esistenti, rimasti inalterati.

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