Carrà Gaini

L’usucapione da parte del coerede

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Il coerede può usucapire un bene ereditario indiviso? E in caso di risposta affermativa, a quali condizioni?

Prima di approfondire i caratteri di questo particolare tipo di acquisizione, è bene soffermarsi sulla disciplina generale dell’usucapione e sulla nozione di “bene indiviso”.

L’usucapione è il mezzo con cui si acquista la proprietà o altro diritto reale di godimento di un bene, per effetto del possesso protratto per un tempo determinato e talvolta di altri requisiti (come meglio vedremo nel prosieguo).

Il possesso deve essere contraddistinto da una serie di caratteri necessari al perfezionamento della fattispecie. A tal fine, assumono rilievo i seguenti requisiti.

La continuità del possesso: il potere sulla cosa deve manifestarsi in modo ininterrotto.

L’assenza di vizi: il possesso violento o clandestino non giova per l’usucapione, se non dal momento in cui cessano la violenza e la clandestinità.

L’inequivocità del possesso: occorre dimostrare che vi sia stata una manifestazione della volontà di possedere in modo pieno ed esclusivo (come effettivo proprietario).

A tal proposito, si parla di “interversione del possesso”, ossia il mutamento del semplice possesso nel possesso pieno ed esclusivo, in forza di un atto di opposizione al legittimo titolare del bene. Tale opposizione deve risultare in modo inequivoco da una dichiarazione, orale o – meglio – scritta, o da un’attività materiale che valga a manifestare in modo indubbio il nuovo stato di fatto.

E’ chiaro il legislatore nell’affermare che “chi ha il possesso corrispondente all’esercizio di un diritto reale su cosa altrui non può usucapire la proprietà della cosa stessa, se il titolo del suo possesso non è mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il diritto del proprietario” (cfr. art. 1164 del Codice Civile).

Per “causa proveniente da terzo” si intende un titolo astrattamente idoneo a trasferire il possesso. Non è necessario che l’atto in parola sia valido ed efficace, potrebbe infatti risultare viziato potendo anche provenire da un soggetto che, al rogito, non è proprietario del bene (c.d. usucapione decennale).

L’assenza della tolleranza del titolare del diritto: il possesso non deve essere la conseguenza di un comportamento accondiscendente dovuto ad amicizia o conoscenza.

Il possesso, inoltre, deve avere ad oggetto un bene che sia suscettibile di essere usucapito: deve quindi trattarsi di un bene immobile (anche indiviso, cfr. infra), mobile registrato e non, che non appartenga alla categoria dei beni demaniali.

La proprietà dei beni immobili si acquista con il possesso continuato per venti anni; il termine, invece, è di dieci anni se si acquista la proprietà di beni mobili o mobili registrati.

Abbiamo parlato di “bene immobile indiviso”. Ma di cosa si tratta?

E’ un bene con caratteristiche tali da non consentire che l’intero compendio immobiliare venga diviso in più porzioni, corrispondenti alle rispettive quote dei condividenti. La divisione, in questi casi, potrebbe inoltre comportare l’imposizione di pesi e servitù sulle singole porzioni, tali da snaturare la funzione economica della porzione rispetto all’intero.

Si pensi ad un appartamento trilocale: sarebbe irrealizzabile un frazionamento dell’immobile, anche solo in due parti distinte.

Chiarito quanto sopra, possiamo ora analizzare il particolare caso dell’usucapione del bene ereditario indiviso da parte di uno dei coeredi.

Partiamo da un caso concreto:

  1. Mevia ha due figli, Tizio e Caio, e coabita con Tizio in un appartamento a Roma.
  2. In primavera, Mevia decede lasciando come unici eredi universali i propri due figli.
  3. Dopo la morte della madre, Tizio continua ad abitare l’immobile che prima condivideva con la stessa.
  4. Successivamente, aperta la successione, Caio domanda la divisione giudiziale della comunione ereditaria e Tizio resiste in giudizio proponendo una domanda per l’accertamento dell’intervenuta usucapione del bene ereditario.

In merito, la giurisprudenza è unanime nell’affermare che il coerede, rimasto nel possesso del bene ereditario dopo la morte del de cuius, può usucapire la quota relativa agli altri eredi prima della divisione, senza necessità di interversione del titolo del possesso: la situazione possessoria in cui si trova il coerede non consente – di fatto – alcun mutamento del titolo, sussistendo già un possesso pieno, anche se a titolo di comproprietà.

In altri termini quindi, il coerede può usucapire il bene senza necessità di una formale opposizione, purché estenda inequivocabilmente il preesistente possesso in termini di esclusività.

Ma cosa si intende per possesso esclusivo?

Chi usucapisce deve manifestare il proprio dominio esclusivo sul bene mediante attività contrastanti e incompatibili con il possesso degli altri compartecipi, tali da vincere la presunzione di tolleranza. In questi casi, infatti, occorre distinguere le ipotesi in cui si configura l’esercizio di un vero e proprio possesso esclusivo da quelle in cui, al contrario, vi è una situazione di mera tolleranza da parte degli altri coeredi.

Ad esempio, con riferimento alla domanda di usucapione di un fondo coltivato da parte di uno dei coeredi, sono elementi utili ad integrare un possesso pieno ed esclusivo:

  • una lettera contenente le doglianze degli altri coeredi esclusi materialmente dal compossesso;
  • l’attività di coltivazione esercitata;
  • l’apprendimento di ogni frutto;
  • l’installazione di una recinzione sul fondo.

Non sono invece idonei a dimostrare il possesso esclusivo il pagamento delle utenze domestiche, l’espletamento delle pratiche inerenti alla successione, l’amministrazione e la manutenzione del bene, nonché l’esecuzione di lavori di ristrutturazione. E ciò anche nell’ipotesi in cui il coerede domandi personalmente il rilascio della relativa autorizzazione amministrativa e poi sostenga le spese dei lavori: si ritiene, in tal caso, che egli agisca quale mandatario degli altri coeredi, anticipando i costi.

Con attenzione alla manutenzione del bene, secondo la giurisprudenza, potrebbe assumere un diverso valore la sostituzione della serratura, qualora si dimostri che sia stata effettuata al fine di escludere i coeredi dal possesso (e non per ragioni di ordinaria amministrazione o custodia del bene).

La prova che il coerede è tenuto ad offrire è quindi alquanto rigorosa.

Torniamo ora al nostro caso concreto.

Caio ha domandato la divisione giudiziale della comunione ereditaria e Tizio ha contrapposto una domanda per l’accertamento dell’intervenuta usucapione del bene ereditario.

Alla luce delle osservazioni sopra svolte, è pertanto evidente che il Giudice accoglierà la domanda riconvenzionale formulata da Tizio solo nell’ipotesi in cui risulterà provato il suo possesso esclusivo sul bene (mediante attività contrastanti e incompatibili con il possesso di Caio). In assenza di tale prova, non potrà che prevalere la presunzione di tolleranza del coerede con conseguente rigetto della domanda di accertamento dell’usucapione e accoglimento della divisione ereditaria promossa da Caio.

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